I crediti d’aiuto, o concessionali, sono dei prestiti a condizioni particolarmente favorevoli per i paesi che li ricevono. Per questo sono considerati una forma di aiuto pubblico allo sviluppo.

Definizione

Non tutto l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) è costituito da risorse a dono. Una parte dell’Aps infatti è composto dai cosiddetti crediti d’aiuto, ovvero prestiti che devono però includere una componente a dono, secondo le regole stabilite dal comitato Dac dell’Ocse.

L’elemento a dono viene conteggiato sulla base del tasso di interesse che deve essere inferiore a quello del mercato. Il periodo di grazia, ovvero il periodo di tempo durante il quale non deve essere restituito il capitale prestato e l’interesse, deve essere esteso in modo da avere un alto elemento a dono. Mentre il periodo di rimborso dovrà essere di lungo termine. Il tutto attualizzato con un tasso di sconto.

Minore è il grado di sviluppo del paese destinatario maggiore dev’essere la componente a dono. Così se per i paesi a più basso tasso di sviluppo (Ldcs e Lics) la componente a dono deve rappresentare almeno il 45%, per i paesi a reddito medio-basso (Lmics) la quota di dono deve arrivare al 15% mentre per quelle a reddito medio-alto (Umics) e per le organizzazioni internazionali la quota di dono si limita al 10%.

I paesi destinatari di risorse dell’aiuto pubblico allo sviluppo sono suddivisi in diversi raggruppamenti a seconda del livello di reddito. 

Vai a “Che cosa sono i paesi Ldcs”

In Italia i crediti d’aiuto, così come gli altri aspetti principali dell’aiuto pubblico allo sviluppo, sono disciplinati dalla legge 125/2014.

“Il Ministro dell’economia e delle finanze […] su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale […] autorizza la società Cassa depositi e prestiti Spa a concedere, anche in consorzio con enti o banche estere, a Stati, banche centrali o enti pubblici di Stati […] nonché a organizzazioni finanziarie internazionali, crediti concessionali a valere sul fondo rotativo.” – Legge 125/2014, articolo 8

Dal testo della norma emerge chiaramente che il ministero degli esteri e della cooperazione internazionale e il ministero dell’economia mantengono un ruolo di indirizzo, mentre è Cassa depositi e prestiti (Cdp) a occuparsi in termini operativi di questo tipo di risorse. Cdp in effetti è generalmente considerata come il braccio finanziario della cooperazione.

Come evidenziato dalla corte dei conti le procedure previste per arrivare alla concessione dei crediti d’aiuto sono piuttosto lunghe e possono richiedere anche 3 o 4 anni. L’iter di approvazione infatti è condizionato dalla natura politica dell’accordo tra governi, ma anche dalla frammentazione delle competenze e dalla molteplicità dei quadri regolatori di riferimento.

Dati

Le risorse a disposizione di Cdp per concedere crediti d’aiuto sono contenute in un apposito fondo rotativo posto fuori dal bilancio dello stato che, a fine giugno 2023, ammontava a poco meno di 2 miliardi e 630 milioni. Stando ai dati forniti dal ministero dell’economia attualmente lo stock di crediti d’aiuto forniti dall’Italia ai paesi beneficiari ammonta a circa 2 miliardi e 770 milioni. Queste risorse comprendono tutti i crediti esistenti che, date le scadenze a lungo termine, riguardano anche prestiti storici che non sono ancora stati pienamente ripagati (come ad esempio quello allo Zimbabwe con crediti d’aiuto precedenti al 2006 che ammontano a 94 milioni).

Nel corso dell’ultimo decennio i crediti concessionali hanno rappresentato circa il 9,1% delle risorse del canale bilaterale italiano, una quota che ha subito alcune oscillazioni nel corso degli anni.

9,1% la quota del canale bilaterale italiano destinata ai crediti d’aiuto tra 2013 e 2022 (gross disbursement).

Tra 2006 e 2013 i crediti d’aiuto sono stati piuttosto elevati rispetto alla media, raggiungendo un minimo del 5,2% nel 2011 e un massimo del 21,5% nel 2007. Poi tra 2014 e 2019 questo tipo di flusso è rimasto piuttosto basso, raggiungendo al massimo il 9,2% nel 2017. Il dato è tornato ad aumentare nel 2020 quando i crediti concessionali hanno raggiunto il 26,3% dell’aiuto bilaterale, assestandosi poi attorno al 12-13% nel biennio successivo. D’altronde il dato elevato del 2020 è anche frutto di un anno in cui le risorse a dono hanno raggiunto livelli estremamente bassi, aumentando l’importanza relativa dei prestiti.

DA SAPERE

Non tutto quello che è calcolato come aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) rappresenta un semplice trasferimento di risorse tra paesi. Una parte del canale bilaterale infatti è costituito dai cosiddetti crediti d’aiuto, ovvero dei prestiti che devono però includere una componente a dono, secondo le regole stabilite dal comitato Dac dell’Ocse. Gli importi sono indicati in dollari a prezzi costanti 2021 secondo il metodo gross disbursement.

L’Italia comunque risulta meno concentrata su questa forma di aiuto rispetto alla media dei paesi Ocse Dac che complessivamente, negli ultimi 10 anni, hanno erogato risorse tramite crediti concessionari per quasi il 16% del canale bilaterale. Ancora più elevato il dato raggiunto dall’Unione europea, che supera il 28%.

Come anticipato i prestiti concessi ai paesi a più basso tasso di sviluppo devono prevedere condizioni per loro più favorevoli. Inoltre, la possibilità che questi paesi non siano in grado di ripagare il debito è più elevata. Anche per queste ragioni quindi la quota di crediti concessionari destinati ai paesi a più basso tasso di sviluppo è minore rispetto a stati in cui il livello di reddito è un po’ più elevato.

DA SAPERE

L’Aps allocabile è quella parte di aiuto pubblico allo sviluppo in cui può essere identificato un paese specifico come destinatario. Una componente dell’Aps allocabile è rappresentata dai crediti d’aiuto, ovvero prestiti che devono includere una componente a dono, secondo le regole stabilite dal comitato Dac dell’Ocse. Questo stesso comitato suddivide ciascun paese beneficiario di Aps tra diverse fasce di reddito per cui sono previste regole specifiche. Tra queste si trovano i paesi a più basso tasso di sviluppo (Least developed countries, Ldcs); altri paesi a basso reddito (Low income countries, Lics); paesi e territori a reddito medio-basso (Lower middle income countries, Lmics); paesi e territori a reddito medio-alto (Upper middle income countries, Umics) e paesi più avanzati (More advanced developing countries, Madc

In effetti se si considera il totale dell’Aps allocabile (ovvero quella parte dell’aiuto bilaterale per cui può essere identificato uno specifico paese beneficiario) risulta che oltre il 43% delle risorse è destinato ai paesi a più basso tasso di sviluppo (Ldcs).

Osservando solo i crediti d’aiuto invece questa quota si riduce al 17%. La maggior parte di queste risorse viene invece destinata a paesi a reddito medio-basso (Lmics, 47,8%) ma anche a paesi a reddito medio-alto (Umics, 35,1%).

Considerando i singoli paesi, nel corso dell’ultimo decennio è stata la Tunisia ad ottenere più risorse da parte dell’Italia attraverso i credi di aiuto, con 286 milioni di dollari (a prezzi costanti 2021). A seguire l’Ucraina (229 milioni), l’Argentina (202), l’Iraq (172) e il Senegal (91).

Rapporto Cespi 2023

Diversamente da quando si parla di altre forme di aiuto bilaterale, nel caso dei crediti d’aiuto sono perlopiù i governi di questi paesi a ricevere i prestiti. Le Ong e le imprese che operano in questi territori quindi potranno accedere a queste risorse solo indirettamente, attraverso i programmi adottati dai governi grazie ai prestiti ricevuti. Tra 2011 e 2021, in effetti, il 77% dei crediti d’aiuto italiani sono stati destinati ai governi centrali di questi paesi e il 22% a organi multilaterali come banche regionali di sviluppo.

Analisi

Che sia più o meno opportuno che i crediti d’aiuto rientrino tra gli strumenti della cooperazione allo sviluppo è stato un tema dibattuto, in particolare intorno agli anni 2000. In quella fase infatti un organo consultivo istituito dal congresso statunitense e noto come commissione Meltzer sostenne, tra le varie cose, l’opportunità di cancellare il debito dei paesi in via di sviluppo suggerendo inoltre che l’Aps dovesse avere esclusivamente carattere a dono.

Le conclusioni della commissione tuttavia furono ampiamente criticate da chi sosteneva l’utilità dei crediti d’aiuto per la politica di cooperazione. Dal loro punto di vista infatti i crediti d’aiuto non tolgono nulla alla cooperazione a dono, rappresentando invece uno strumento aggiuntivo. Peraltro i rimborsi generati possono essere reinvestiti nel comparto contribuendo alla sostenibilità delle politiche di cooperazione. Inoltre il meccanismo dei prestiti sarebbe tale da migliorare la disciplina fiscale dei paesi beneficiari.

Anche la solidità di queste posizioni però è stata contestata. A oggi comunque anche le tesi critiche nei confronti dei crediti di aiuto non contestano tanto lo strumento in sé, preferendo piuttosto mettere in guardia rispetto a un suo corretto utilizzo.

In particolare i finanziamenti a dono dovrebbero essere considerati preferibili quando i beneficiari sono esposti a un debito eccessivo, quando si tratta di paesi a basso tasso di sviluppo (Ldcs) o quando l’oggetto del finanziamento riguarda politiche sociali.

Con una decisione assunta alla fine del 2014, questo dibattito è stato almeno in parte recepito dal comitato Ocse Dac. Infatti, mentre in precedenza i criteri per considerare un prestito come Aps erano univoci, oggi le regole cambiano a seconda che il paese ricevente rientri tra quelli a più basso tasso di sviluppo (Ldcs) piuttosto che a paesi a reddito medio-basso (Lmics) o medio alto (Umics).

Inoltre, grazie a questa decisione, a partire dal 2018 è stata applicata una nuova metodologia per rendicontare i crediti concessionali. Tradizionalmente, infatti, le risorse a dono e i crediti d’aiuto erano considerati in modo equivalente nel quadro di un approccio basato sui flussi annuali in entrata/uscita (metodo cash-flow), con la sola differenza che la progressiva restituzione del credito contava poi negativamente sull’Aps del paese donatore. A partire dal 2018 invece è diventato operativo un nuovo metodo di calcolo, noto come grant equivalent, che si applica ai crediti concessionali e che consente di scontare si dall’inizio (front loading) i ripagamenti e quindi di rendicontare subito solamente la componente a dono.

L’articolo è stato redatto grazie al progetto “Cooperazione: mettiamola in Agenda!”, finanziato dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Le opinioni espresse non sono di responsabilità dell’Agenzia.